Merda e dignità.

Riccardo Christian Falcone | 04-11-2017 | Le opinioni

L’Italia è un Pese strano, e questo è fatto noto. L’Italia è il Paese dei grandi misteri, delle stragi senza giustizia, delle morti senza verità. L’Italia è un Paese dalla memoria corta o peggio ancora della memoria abusata (ne ho parlato qui). Il Paese in cui ancora ci si scandalizza davanti all'oramai ovvio e ampiamente dimostrato binomio "mafie e corruzione". L’Italia è il Paese in cui tutti noi abbiamo consentito impunemente ai mafiosi di rubarci le parole, di svuotarle del loro significato e di riconsegnarcele in una totale alterazione di senso.

Prendete la parola onore. Ne parlo spesso, soprattutto con gli studenti nei numerosi incontri che ho la fortuna di avere con loro nelle scuole. Ne parlo perché la parola onore, e lo svuotamento di senso che ha subìto, è davvero forse l’esempio più clamoroso di come le mafie ci abbiano rubato le parole. Ci siamo talmente assuefatti a questo furto da continuare, noi stessi, a definire i mafiosi uomini d’onore quando è evidente che onore è parola talmente bella e importante (qui la definizione che ne dà il vocabolario Treccani) da essere naturalmente inconciliabile con la sub-cultura mafiosa e il suo presunto e del tutto distorto sistema di valori. Con gli studenti, concludiamo spesso che chi usa la violenza come strumento di regolazione dei rapporti umani, chi uccide bambini sciogliendoli nell'acido, chi distrugge l’ambiente interrando rifiuti tossici o uccide l’economia drogandola e alterandone i meccanismi, più che uomo d’onore andrebbe più coerentemente e correttamente definito uomo di merda.

Ecco, la ragione per cui oggi scrivo di questo è proprio in questo riferimento agli escrementi nella sua relazione con gli uomini di mafia. La locuzione uomo di merda è piuttosto diffusa nel linguaggio gergale. La sua forma dialettale ‘omm e ‘mmerd, oltre che riportarci immediatamente alla mente il 71, numero al quale è associata nella smorfia, è negli ultimi tempi tornata fortemente in uso sulla spinta dell’utilizzo massiccio che se n’è fatto nella serie Gomorra. Ora, per carità, si tratta di un’espressione senza dubbio fortemente negativa e spregiativa. Una di quelle per cui una persona perbene alla quale dovesse esser rivolta avrebbe mille e più ragioni per ritenersi offesa. Una persona perbene, appunto.

Mariano Agate, considerato uno degli uomini più fidati di Totò Riina, è stato in vita uno dei boss più potenti di Cosa nostra. Ritenuto a capo del mandamento di Mazara del Vallo, in provincia di Trapani, è stato condannato all'ergastolo per la strage di Capaci. Ma la sua carriera criminale può vantare anche un’altra condanna all'ergastolo per altri sette omicidi, tra cui quello del giudice Giangiacomo Ciaccio Montalto, ucciso a Valderice il 25 gennaio del 1983. La sua vita da uomo libero è finita nel 1990, quando finalmente è finito in una cella. Detenuto al regime del carcere duro, è stato scarcerato nel marzo del 2013 a causa della morte ormai imminente. Morte sopraggiunta effettivamente il 3 aprile di quell'anno, quando lui di anni ne aveva 73. Per lui, nessun funerale, né pubblico né religioso. A negare le esequie, il Questore dell’epoca e il vescovo di Mazara Mogavero.

Rino Giacalone è un giornalista e blogger siciliano. Scrive per lo più di mafia e mafiosi. È trapanese anche lui e dirige il sito di informazione online Alqamah. Lo scorso anno lo abbiamo ospitato qui sul Piccolo, in occasione del Conferimento del Premio Nazionale per l’Impegno Civile Marcello Torre a questa bella esperienza di giornalismo che mi piace definire di denuncia e di prossimità.

Quando Agate muore Rino ne scrive: “Le stragi dove furono uccisi Falcone, Borsellino, quelle di Roma, Milano e Firenze, portano la sua firma, così come le guerre di mafia più violente tra Trapani e Palermo”. E poi, concludendo senza troppi giri di parole, aggiunge che “la sua morte toglie alla Sicilia la presenza di un gran bel pezzo di merda”. La vedova ne rimane offesa e lo querela per diffamazione. La cosa provoca la reazione di ampi pezzi del giornalismo e della società civile. Si schierano con Giacalone anche oltre 40 familiari di vittime innocenti. E così, nel giugno del 2016, il Tribunale lo assolve, sostanzialmente affermando che non si può ledere la buona reputazione di chi una buona reputazione non ce l’ha. Ma la famiglia Agate non ci sta e ricorre in Cassazione. Ed è proprio la Suprema Corte, nel maggio scorso, ad annullare l’assoluzione di Rino, con una sentenza le cui motivazioni sono state rese pubbliche ieri (potete approfondire qui). Il “nostro ordinamento - vi si legge - riconosce (la dignità) a qualunque essere umano, anche a chi è appartenuto a una associazione malavitosa sanguinaria e nefasta (o addirittura la capeggia)”. Dunque nessuno, neppure un mafioso condannato definitivamente all'ergastolo per reati gravissimi e per la morte di tanti innocenti, può essere paragonato ad un escremento. Così Rino dovrà tornare sotto processo davanti alla Corte d'Appello di Palermo.

Ora, detto francamente, tutta questa storia ha del paradossale. Ragionando in astratto e in punta di diritto, forse potremmo dibatterne all'infinito. Ma c’è un rischio grosso ed il rischio è, manco a dirlo, per i risvolti culturali di questa vicenda. Perché vedete, qui stiamo dando ragione a chi ha ritenuto di sentirsi offeso dal colorito epiteto utilizzato da Rino ma non ha mai manifestato la vergogna per gli omicidi di mafia, il tritolo mafioso, le vittime innocenti delle mafie e la sofferenza delle loro famiglie. Io ricordo di una ragazza, Rita Atria, che quella vergogna l’ha sentita sulla sua pelle e ha detto basta. Io ricordo di un ragazzo, Peppino Impastato, che quella vergogna l’ha provata dentro di sé e ha urlato che “la mafia è una montagna di merda”, appunto.

Ecco, questa per me è dignità. E io, da cittadino e da uomo libero e perbene, voglio continuare a dire a me stesso e agli altri che chi usa la violenza come strumento di regolazione dei rapporti umani, chi uccide bambini sciogliendoli nell'acido, chi distrugge l’ambiente interrando rifiuti tossici o uccide l’economia drogandola e alterandone i meccanismi, non ha la mia stessa dignità. Non è un uomo d’onore.

È semplicemente e banalmente un uomo di merda.