Raccontare le mafie partendo dalle periferie

Rino Giacalone | 11-12-2016 | Le opinioni

L’informazione in Italia non è messa bene. E, però, la nascita di un nuovo giornale, la rinascita in questo caso, de “Il Nuovo Piccolo Giornale”, rappresenta un fatto positivo: la resistenza contro la disinformazione si può fare, le luci sulle periferie si possono accendere.

Certo c’è un lavoro tutto in salita, la pedalata è pesante e impegnativa, ma un gruppo di persone, la loro capacità di fare rete sapendo fare memoria, in questo caso dell’impegno del sindaco Marcello Torre, fa ben sperare, perché comune denominatore di tutto questo è il “Noi”.

C’è da ricominciare a raccontare questo nostro Paese, l’Italia delle trattative, nel quale si stanno ricreando alleanze pericolose. E questo Paese dobbiamo ricominciare a raccontarlo partendo dalle periferie, della Campania e della Sicilia, perché questi territori restano terreni fertili per la rinascita delle mafie. In queste terre ci sono tutti gli ingredienti giusti. C’è la gente che ogni giorno chiede aiuto, dove è fortunato chi dice, pure se con senso di rabbia, di arrivare a malapena alla fine del mese, perché significa che uno stipendio lo prende. Ci sono i cittadini rassegnati, ma ci sono anche le banche che dinanzi alla povertà, fanno ingenti raccolte di capitali e i poteri forti, la massoneria, costantemente impegnata a fare inciuci difendendosi con la legittimità, anacronistica oramai, della segretezza. Tantissimi anni fa davanti ai morti ammazzati sentivamo dire che le mafie non esistevano.

Oggi ci sentiamo dire che le mafie sono sconfitte e che i danni nel nostro Paese li sta facendo l’antimafia, sociale e giudiziaria. Mentre tutti i giorni si scoperchiano pentole di malaffare e scopriamo come le mafie riescono a incassare denaro e a indirizzarlo verso le city finanziarie d’Europa. E dinanzi a simili scenari il nostro dovere è quello di raccontare, di raccontare bene, dando voce a chi non ha più la forza di urlare. A chi lavora con la consapevolezza che forse l’indomani non potrà più farlo. A coloro i quali viene negata la libertà di espressione, di parola.

Dobbiamo raccontare sapendo che dalla parte nostra c’è l’articolo 21 della Costituzione. Dobbiamo scrivere sapendo noi, per primi, aprire gli occhi. Costi quel che costi. Illuminando le periferie italiane potremmo ogni giorno raccontare una storia nuova di violazione di elementari diritti, di drammi, di gente stremata, di bambini e ragazzini costretti a delinquere per un tozzo di pane.

E accanto a queste storie, la realtà di paesi governati da mafie e massonerie che riescono a entrare nelle prefetture e nelle banche, che sono tornate a cercare di condizionare il potere giudiziario.

Le periferie sono terreni difficili per l’informazione ma questo perché ci sono stati giornalisti che hanno scelto la via del bavaglio. Sciogliamo questi bavagli. Ma non dobbiamo intraprendere guerre. L’informazione che si è piegata a questi nuovi poteri non si vince attaccando, la si vince facendo vedere che la vera informazione è altra cosa, questo è il nostro compito. La disinformazione vuole mettere paura alla società civile, per ricondurla all’insensibilità.

L’informazione deve, invece, dar voce alla gente mostrando chiaramente di voler stare dalla parte della libertà e della democrazia.

La Campania e la Sicilia, Pagani e Trapani non sono terre qualsiasi, sono le terre dove mafia e camorra hanno stretto un’alleanza che permane, dove mafia e politica sono spesso state e sono un tutt’uno grazie all’amalgama della massoneria. Campania e Sicilia si sono scambiate i latitanti e hanno trafficato con la droga e riciclato denaro nel settore del commercio.

Noi siamo diversi e stiamo con la gente che vuole essere partigiana vera, partigiana della Libertà. In questo caso di informare.