Terra, solchi di verità e giustizia

Don Tonino Palmese | 19-03-2018 | Le opinioni

A volte con un pizzico di sorriso e di ironia abbiamo ridicolizzato l’espressione canora del “o zappatore” quando il padre contadino afferma verso il figlio avvocato che “si zappa a terra cheste te fa onore… addonecchiete e vaseme sti mane” (se zappo la terra questo ti fa onore, dunque inginocchiati e baciami le mani).

Vado oltre la provocazione “esagerata” di chi propone un baciamano, ma sicuramente è necessario recuperare quanto più possibile l’idea che la terra, sia dal punto di vista antropologico che da quello esistenziale, resti un valore che determina alcune cose: appartenenza fatta di radici e lavoro fatto di mercato onesto. Dire terra per noi di LIBERA, vuol dire questo e soprattutto vuol dire comunità ed economia alternative alle mafie.

Prima di tutto è in questa terra che abitiamo e che dobbiamo ritrovare tradizioni, culture e modi fare riconducibili all’innocenza dell’umanità, alla sua capacità di condividere e soprattutto al suo bisogno di rendere giusta tutta la vita perché possa diventare una vera e propria benedizione.

L’idea dei solchi mette in discussione la nostra staticità e il nostro guardare avanti. E soprattutto la terribile tentazione – che anche Papa Francesco ha più volte ricordato – di dire: abbiamo sempre fatto così. Penso invece che essere lavoratori di solchi voglia dire avere la forza necessaria che viene dalla nostra coscienza, lo sguardo lungimirante che viene dalla nostra onestà intellettuale, la capacità di condividere i frutti seminati, la consapevolezza che si è vivi e felici solo quando riusciamo a dire finalmente NOI.

Avanti tutta, donne e uomini di questa Terra e delle nostre terre. Terre, le nostre, che sono state in grado di produrre un’antimafia fondata sulla capacità di sviluppare gli anticorpi alle mafie ma soprattutto di far diventare la memoria un luogo di impegno, di percorsi di giustizia a favore della verità e della legalità. Terre, le nostre, che ospitano realtà lavorative su quei beni confiscati che, oltre a cambiare nome - dal criminale carnefice alla vittima innocente - ospitano oggi realtà dove i sogni, le speranze e la capacità di sostenere, attraverso il lavoro, la dignità della vita si fa concretezza quotidiana.