LA RELAZIONE PERVERSA CHE UCCISE MARCELLO

Riccardo Christian Falcone | 12-12-2019 | Le opinioni

La vera novità nella relazione perversa tra mafie e corruzione, stando alla ricostruzione che ne fa Isaia Sales nel suo “Storia dell’Italia corrotta”, starebbe tutta in questo neologismo: mafirruzione. Starebbe cioè nell’ingresso prepotente delle mafie nei sistemi corruttivi, all’interno dei quali i mafiosi non solo si pongono come garanti dei patti corruttivi, facendo leva sulla violenza (sempre meno non solo usata, ma neppure minacciata, perché ormai acquisita come dato consustanziale alla presenza delle mafie nei meccanismi corruttivi), ma si muovono a loro volta adeguandosi alle regole tradizionali della corruzione, di cui divengono attori al pari di tutti gli altri.

In questa prospettiva, Marcello Torre non può che apparire come la prima - o una delle prime - tra le vittime di mafirruzione. Sarebbe in definitiva stato ammazzato perché le sue posizioni di rottura rispetto al sistema che andava strutturandosi in quegli anni - e che avrebbe subito una decisa accelerazione con il terremoto del 23 novembre 1980 - apparirono e furono immediatamente percepite come una resistenza ferma e netta rispetto al consolidamento di questa relazione perversa che andava cementandosi tra ambienti politici, criminali e imprenditoriali.

A voler essere provocatori, dunque, definire quello di Marcello un “semplice” omicidio di camorra potrebbe essere addirittura una diminutio, una lettura parziale di quello che accadde. Quella morte doveva essere - e molto probabilmente fu - il frutto dell’intreccio di interessi indicibili che collegavano ambienti diversi e trasversali. E doveva avere, come pure è stato detto e come certamente ebbe, un valore pedagogico rispetto a quanti, nella medesima posizione di Marcello Torre, erano stati sfiorati o sarebbero in seguito stati sfiorati dall’idea che a quel sistema ci si poteva o doveva opporre.

È l’ennesima conferma che la verità processuale non colse evidentemente tutti gli aspetti di quella vicenda, “relegandola” nell’alveo di un regolamento di conti interno alle famiglie di camorra. La pista politica, quella che Marcello stesso aveva indicato come la via da seguire qualora gli fosse accaduto qualcosa nella sua lettera testamento, rimane tuttora inesplorata. E forse fare i conti con questa verità ci aiuterebbe a rileggere la storia di questa terra, nella quale, dopo quella morte, quell’intreccio di interessi indicibili ha continuato a incancrenire il tessuto sociale, politico ed economico. E a corrompere le coscienze. Ne stiamo pagando ancora le conseguenze.

Ecco, è forse in questo dato il senso più profondo dell’attualità della vicenda di Marcello Torre. Così come forse in questa verità scomoda c’è la ragione di tutta l’avversione, l’intolleranza, il fastidio che in tanti ambienti della società paganese, ancora oggi e nonostante tutto, la storia di Marcello continua a suscitare.

Il 2020 sarà l’anno del quarantesimo anniversario di quell’omicidio. Ci prepariamo a viverlo sapendo che la memoria delle vittime innocenti delle mafie è in grado di produrre un cambiamento vero, a patto però che scavi in profondità nelle coscienze, che diventi patrimonio collettivo, che se ne attualizzi il valore e il contenuto. In questi 39 anni abbiamo provato a fare questo. E però, dobbiamo dircelo, la storia di questa terra ci racconta che non è bastato. Questo deve metterci in discussione: avremmo forse dovuto fare di più e meglio, con più coraggio e con maggiore impegno. Ci proveremo ancora perché, checché ne dica qualcuno, noi questa terra la amiamo e non l’abbiamo mai ingannata.