Abuso di memoria

Riccardo Christian Falcone | 23-03-2017 | Le opinioni

Peggio della perdita o della rimozione della memoria, pratica a cui il nostro Paese è tristemente e tradizionalmente avvezzo, c’è solo l’abuso della memoria. C’è cioè quell’abitudine, tanto odiosa quanto diffusa, di utilizzare in modo distorto e strumentale la memoria, di ridurla a retorica, di farne strumento di propaganda, di legittimazione, di autoassoluzione.

Capita così che la memoria del passato, dei suoi fatti e dei suoi protagonisti, finisca troppo spesso col ridursi a discorsi di maniera e a parole di circostanza, a uno sterile solidarismo, talvolta anche sincero nella sua banalità, talaltra addirittura colpevolmente e dolosamente finto e, per ciò stesso, ancora più ripugnante.

L’abuso della memoria è un peccato mortale. Lo è in generale, sia chiaro. Ma lo è ancor più nel caso delle vittime innocenti delle mafie. È sulle loro storie, sulle loro vite e sulle loro morti, che l’abuso della memoria si è maggiormente concentrato. È accaduto con la retorica dell’eroismo, quella tendenza cioè a “ridurre” a straordinarietà la forza e il coraggio dell’ordinarietà. È accaduto con la retorica delle commemorazioni, quella che una volta all’anno si depositano le corone di alloro e chi si è visto si è visto. È accaduto con la retorica della legalità e dell’antimafia di facciata, che ogni volta che senti pronunciare queste parole ti viene la nausea e capisci quanta violenza le parole possano subire. È accaduto con la retorica del “posto sbagliato al momento sbagliato”, che significa dire che i padroni sono loro, quelli che pensano di decidere quale sia il posto giusto e il momento giusto. È accaduto con la retorica del “questa non è solo terra di camorra” e del “la maggioranza è fatta di persone per bene”, a dire che il cattivo sei tu che invece dici che la camorra c’è e che in troppi se ne fregano. Ecco, tutto questo è accaduto e accade. Ed è un peccato mortale, un detestabile abuso della memoria.

L’approvazione della legge con la quale la Repubblica ha riconosciuto il 21 marzo quale Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie porta con sé un rischio grande, del quale dobbiamo essere ben consapevoli, perché anche questo è accaduto troppe volte. È il rischio del pannicello caldo, quello che si stende sulla ferita sanguinante a fare da palliativo. Un modo, insomma, per lenire il dolore di chi resta e per pulirsi la coscienza. Noi non lo permetteremo e continueremo a difendere, con tutte le forze, la memoria viva che si fa impegno quotidiano, che si fa etica della responsabilità.

Le storie delle vittime innocenti ci insegnano tante cose. Don Luigi Ciotti ben le racconta nella sua introduzione al libro che raccoglie circa 800 delle loro biografie e con la quale abbiamo voluto aprire questo numero de Il Piccolo. Quelle storie ci dicono, anzi ci gridano che non possiamo più restare a guardare, che non possiamo non decidere da che parte stare, testimoniandolo con la coerenza della nostra vita piuttosto che proclamandolo con la banalità di parole vuote. Perché le parole non ci assolveranno dalle nostre colpe, dalla nostra indifferenza, dalla nostra ipocrisia.

E allora buon 21 marzo care lettrici e cari lettori. La primavera è tornata e porta con sé la memoria di tante, troppe vittime innocenti la cui vita è stata spezzata dalla violenza delle mafie. Oggi, grazie a Libera, i loro nomi saranno letti in migliaia di piazze, scuole, luoghi di lavoro, carceri. Sarà un modo per far pace con quella memoria. Perché possiamo farlo, intendiamoci. Ma c’è un solo modo per far sì che accada: “lasciate che quelle vite vi scavino dentro, vi diano forza e motivazione, vi riconducano all’impegno più determinati e consapevoli”. Facciamo buon uso di quella memoria. Finalmente.